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Che cos'è un "mito"?
Che cos'è propriamente un «mito»? Nel linguaggio corrente del secolo Diciannovesimo «mito» significava tutto ciò che si oppone alla «realtà»: la creazione di Adamo o l'«uomo mascherato», come la storia del mondo raccontata dagli Zulù o la "Teogonia" di Esiodo, erano «miti». Come molti altri cliché dell'illuminismo e del positivismo, anche questo aveva struttura e origine cristiane: infatti, per il cristianesimo primitivo tutto quello che non trovava giustificazione nell'uno o nell'altro dei due Testamenti era falso: era una «favola».
Ma le ricerche degli etnologi ci hanno costretto a ritornare su questa eredità semantica, sopravvivenza della polemica cristiana contro il mondo pagano. Si comincia finalmente a conoscere e a comprendere il valore del mito elaborato dalle società «primitive» e arcaiche, cioè dai gruppi umani in cui il mito costituisce il fondamento stesso della vita sociale e della cultura. E un fatto ci colpisce subito: tali società ritengono che il mito esprima la VERITA' ASSOLUTA perché racconta una STORIA SACRA, cioè una rivelazione transumana che è
avvenuta all'alba del Grande Tempo, nel tempo sacro degli inizi ("in illo tempore"). Essendo REALE e SACRO, il mito diventa esemplare, e di conseguenza ripetibile, poiché serve da modello e anche da giustificazione a tutti gli atti umani. In altri termini, un mito è una STORIA VERA che è avvenuta agli inizi del tempo e che serve da modello ai comportamenti degli uomini. IMITANDO gli atti esemplari di un dio o di un eroe mitico, o semplicemente RACCONTANDO le loro avventure, l'uomo delle società arcaiche si stacca dal tempo profano e si ricongiunge magicamente al Grande Tempo, al tempo sacro.
Come si vede, si tratta di un capovolgimento totale dei valori: mentre il linguaggio corrente confonde il mito con le «favole», l'uomo delle società tradizionali vi scopre, al contrario, LA SOLA RIVELAZIONE VALIDA DELLA REALTA'. Non si è tardato a tirare le conclusioni da questa scoperta. Evitando di insistere nel dire che il mito racconta cose impossibili o improbabili, ci si è limitati a dire che esso costituisce un modo di pensare diverso dal nostro, in ogni caso da non considerare - "a priori" - come aberrante. Si è poi tentato di integrare il mito nella storia generale del pensiero, considerandolo come la forma per eccellenza del pensiero collettivo. Ma poiché il «pensiero collettivo» non È mai completamente abolito in una società, qualunque ne sia il grado di evoluzione, non si è mancato di osservare che il mondo moderno conserva ancora un certo comportamento mitico: per esempio, la partecipazione di tutta una società a certi simboli è stata interpretata come una sopravvivenza del «pensiero collettivo».
Bibliografia: M. Eliade, Miti, sogni e misteri, 1976. -
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Interessante appunto .