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I PANI DOLCI
da "Leggende e Fiabe" di H. Hesse
I molti e venerabili racconti degli avi sulla vita degli eremiti di Dio nel deserto
della Tebaide narrano spesso delle numerose e diverse tentazioni che il diavolo
scatenava contro questi tribolati santi. Ma san Giovanni d’Egitto cita l’esempio di
come persino la bontà di Dio conducesse uno di questi eremiti in tentazione.
A Eliopoli viveva un uomo facoltoso. Questi, pur senza condurre una vita
veramente depravata, amava però le gioie di questo mondo. Frequentava il circo e le
terme, gli piacevano le donne, ed essendo di natura pacifica e un po’ pigra, nutriva
una particolare inclinazione per i piaceri della tavola.
Un giorno che, dopo un pasto copioso, colpito dai dolori si era dovuto coricare, la
mano di Dio toccò questo buon uomo con tanta potenza che egli riconobbe con
spavento la vanità della propria condotta e decise all’istante di vivere d’ora in poi
unicamente per la salvezza della sua anima. Tosto cercò la frequentazione di pii
cristiani, evitò le cattive compagnie e, con la grazia di Dio, subì un tale mutamento
che fece voto di dire addio a tutti i piaceri di questo mondo e di trascorrere la vita da
eremita penitente, nella rinuncia e nella preghiera.
Si ritirò dunque, come a quel tempo facevano molti uomini pii, dalla città di
Eliopoli nella terribile zona desertica, cercò una grotta in un luogo isolato e vi rimase.
Dissodò con le sole mani un minuscolo pezzo di terra appena sufficiente, seminò una
manciata di grano e di lenticchie e si nutrì dei miseri frutti di questo lavoro. Secondo
l’esempio dei santi padri, non toccava cibo sino a che il sole era alto nel cielo e
mangiava solo dopo il tramonto, e anche allora soltanto un po’ di grano oppure
lenticchie ammollate in acqua, e beveva da una sorgente lì vicino. Emulava i santi
eremiti anche nelle preghiere, nei salmi e nelle penitenze.
A questi sforzi assisteva con soddisfazione un angioletto, che con altri compagni si
recava spesso in quella zona remota per badare agli eremiti. L’angioletto si
compiaceva in modo particolare di quel penitente, e spesso gli stava vicino, invisibile,
per ascoltarne i sospiri e le preghiere ed esser testimone innanzi a Dio del suo
sacrificio e della sua devozione.
L’angelo, dopo aver osservato in silenzio quel buon uomo per parecchi anni, alla
fine si fece coraggio, si presentò davanti al trono di Dio e disse: «Conosco nel deserto
un pio uomo che da qualche anno conduce una vita umile e povera per la tua gloria.
Permettimi di recargli un po’ di conforto e di gioia a segno della tua grande bontà».
Allora il Signore chiese: «Che cosa fa questo eremita di tanto particolare, perché tu
voglia renderlo più felice degli altri?».
E l’angelo disse timidamente: «Di veramente particolare non fa nulla. È troppo
umile e semplice nel suo buon cuore, per far qualcosa di particolare. Mi piace tanto!».
Il Signore sorrise e disse: «Va bene, ti consento di procurargli una gioia. Ma non
me lo rovinare!».
L’angioletto intonò un canto di lode e si affrettò nel deserto dove dimorava il
penitente. Il sole stava appunto tramontando all’orizzonte, e quell’uomo pio si
accingeva a mettere in acqua una manciata di lenticchie secche. Allora l’angelo seppe
improvvisamente quel che voleva fare, e volò via.
Quando, la sera dopo, l’eremita lasciò la rupe dov’era solito pregare, e che già
recava l’impronta delle sue ginocchia, ed entrò nella grotta, gli salì alle narici un
odore sottile, non più sentito da tanto tempo. E sul tavolo di pietra trovò tre pani,
bianchi come la neve e leggeri come lana e dolci come miele. Li annusò, li toccò, ne
ruppe un pezzetto e se lo portò alla bocca. Allora sul suo viso si diffuse un quieto
splendore, si inginocchiò, mangiò il primo pane e trovò che sapeva di miele. Il
secondo sapeva di pesca, e sulla lingua e tra i denti era simile alla polpa delle pesche
mature. Il terzo, che mangiò assaporandolo lentamente, aveva un profumo ancor più
squisito e il sapore dell’ananas. A questo sapore, il penitente così favorito sospirò
piano, come in sogno.
Il giorno dopo si dedicò alle sue pratiche con gratitudine. Ma verso sera guardò
varie volte alla posizione del sole, e non appena il suo disco rosso si fu spento
all’orizzonte, si affrettò nella grotta, per dare un’occhiata al tavolo. E, guarda!,
c’erano sopra altri tre pani, e sapevano di mela, di lampone e di cotogna. Il pane alla
mela cotogna strappò all’eremita un altro sospiro.
Il terzo giorno era appena passato il mezzodì, che l’eremita cominciò a rivolgere i
suoi pensieri alla sera, e fu preso dalla violenta curiosità di conoscere di che specie
sarebbero stati oggi i suoi pani. Ma riuscì a vincersi, pregò e si prostrò, ma non
poteva non pensare continuamente ora alle fragole, ora alle pere, ora al burro fresco o
al pollo freddo.
Dopo il pasto non ebbe voglia di arrampicarsi di nuovo sulla roccia a pregare,
pronunciò restando seduto una breve preghiera di ringraziamento e si coricò
comodamente, dormì sino a giorno fatto sognando tutte cose da mangiare, alle quali
non pensava più da anni. La mattina si castigò, e decise di pregar Dio che non gli
mandasse più pani. Ma non ne fu capace, e si convinse che sarebbe stata
un’ingratitudine. In compenso decise, la mattina, che quel giorno non avrebbe
mangiato nessuno dei pani. Poi, a mezzogiorno, cedette un poco, e si ripropose di
mangiarne uno soltanto. La sera ne mangiò due. Il terzo, di cui aveva assaporato solo
il profumo, lo lasciò intatto, e andò a coricarsi. Ma quella notte potè dormir poco.
Dopo un’ora si alzò, diede un’occhiata al pane, lo prese in mano e lo posò di nuovo.
E, di nuovo, dopo un’ora si rialzò, fermamente deciso a mangiare quel pane. Ma era
sparito.
Cominciarono giorni duri. A volte gli riusciva di lasciare intatto un pane o anche
due, a volte li mangiava tutti, e mai era soddisfatto di sé. Ma con quel cibo gli erano
tornati il sangue sulle guance e la forza nelle membra. Sognava mense colme di
vivande scelte, dolce vino di Cipro, bagni tiepidi e profumati. Finì per trascurare
sempre più lavoro e preghiera, per l’intera giornata non faceva che desiderare il
tramonto e trascorreva lunghe pigre ore sdraiato sul giaciglio. L’angioletto vide con
accoramento quel che aveva combinato. Togliere del tutto i pani al penitente non
osava, perché quello non disperasse della bontà di Dio. Ma a volte gli lasciava un
solo pane celeste, a volte soltanto mezzo, e quanto peggio l’eremita si comportava,
tanto più
scarso e cattivo era il pane che trovava ad attenderlo la sera.
Ma per quell’uomo non c’era niente da fare. La nostalgia per la vita del mondo lo
aveva assalito con violenza, e alla fine la tentazione vinse. Prese con sé due pani e si
mise in marcia per ritrovare la città di Eliopoli e la bella vita di un tempo.
L’angioletto vide ciò con orrore, volò al trono di Dio, confessò tutto e piangendo si
gettò ai piedi del Signore.
L’eremita però camminava alacremente, pieno di desiderio, muoveva i piedi come
se danzasse e aveva la testa colma di soavi immagini. Ma a poco a poco fu stanco, e
la sera fu contento di vedere alcune capanne, in cui vivevano altri penitenti cristiani.
Entrò da loro, li salutò e chiese ricovero. Essi lo ricevettero fraternamente, gli
offrirono acqua e noci, mangiarono con lui e poi gli chiesero da dove venisse. E
poiché egli raccontò della sua vita e apparve loro come un grande santo, gli
dimostrarono profondo rispetto, chiesero la sua benedizione e tennero edificanti
discorsi. Egli ascoltava angosciato, poiché nascondeva in cuore tutt’altri pensieri.
Tuttavia dovette dar conto di sé, e mentre narrava loro la sua lunga vita nel deserto, si
accorse con tristezza di quanto vicino era stato a Dio, e di quanto ora se ne era
allontanato.
Alla fine uno dei fratelli, un giovanotto, gli chiese consiglio e disse: «Aiutami, caro
e pio padre. Non nutro altro desiderio che di portare a Dio un’anima incontaminata.
Ma sono ancora giovane, e a volte la tentazione e la concupiscenza mi assalgono. Tu
che da lungo tempo hai vinto tutto ciò, dimmi: come posso sconfiggere questi
assalti?».
Allora l’eremita scoppiò in lacrime, si accusò e confessò ai fratelli tutto quel che
gli era accaduto. Essi lo consolarono, pregarono con lui, lo fecero restare qualche
giorno in mezzo a loro e, quando lo lasciarono, era un uomo ancora una volta salvato,
che si recò senza indugio nella sua grotta, espiò e tornò a una santa vita. Non trovò
più i pani, e dovette di nuovo coltivare col sudore della fronte il pietroso campicello.
Ma l’angelo gli stava accanto invisibile, e quando fu giunta la sua ora, portò in cielo
la sua anima liberata, cantando lodi a Dio.Ho subito fatto mente locale, essendo anche donna di casa, perciò vorrei proporvi un quesito:
All'interno della confezione del levito "Pane degli Angeli" ci sono, esattamente, tre buste di lievito vanigliato per dolci. Sarà stata questa leggenda a condizionare la scelta del brand?
Saluti. -
jorgian.
User deleted
E chi lo sa? Forse si.
E comunque complimenti io anche leggendo la storia non ci ero arrivato al lievito
Edited by jorgian - 13/10/2013, 20:49. -
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Probabilmente i produttori del lievito conoscevano questa leggenda, e per produrre il lievito si sono ispirati a essa . -
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Non avrei mai pensato che dietro ad un logo, così apparentemente semplice ed orgogliosamente datato ci fosse la possibilità di una leggenda come fonte di ispirazione. E direi che il risultato è interessante...in quanto nella scatola sono contenute tre bustine di lievito, ben rappresentate graficamente! . -
Arcadio.Rosacroce.
User deleted
Beh,sul fatto che ci sia un logo preciso ed un richiamo altrettanto "non velato" (parlando di zucchero a velo direi che ci sta tutto !) non mi stupisco perchè conosco bene cosa possono e DEVONO inventarsi i pubblicitari per poter vendere quello che gli viene commissionato !Signori il "bisness" è "bisness" !
Quanto al logo non da un senso di piacere e di dolcezza vedere angeli candidi su una busta anch'essa candida e comunque con colori piacevoli alla vista?
Pensate che anche quello sia un caso?Su su,non cascateci ....